Genova vista con gli occhi di Tokyo
Una primaverile giornata di sole, il 23 aprile 2008: una mattina spumeggiante ideale per passeggiare nel porto antico di Genova, rivisto e arricchito dall’opera di Renzo Piano nel 1994, con il suo paesaggio ampio fatto di banchine, scogli, imbarcazioni e gabbiani: proprio lì, per la precisione al museo del Mare Galata, sono appena giunti da lontano i primi due architetti destinati a seguire il progetto Urban Lab. Sono giapponesi, giovani e pieni di idee, resteranno a Genova fino a settembre. Shoko Nakamura – una ragazza di 24 anni – e Arata Yamasaki – un giovane di 25 – hanno raccontato le loro impressioni sulla città ma anche le loro idee per il futuro.
Quando siete arrivati a Genova? (Arata) «Siamo arrivati a Genova lo scorso 11 aprile, di notte. Dopo essere atterrati a Milano abbiamo preso un treno ma… c’era stata la partita ed era pieno di tifosi, in ritardo di più di un’ora». Racconta fra l’ironico e il rassegnato Shoko Nakamura, che ha raccolto l’opportunità italiana grazie a un master. «Insomma – aggiunge infine – il viaggio in treno ci è piaciuto molto meno di quello in aereo».
Che cosa pensate della città? (Shoko) «Genova mi piace molto, in special modo per il suo centro storico così ricco di architettura che testimonia i tempi passati; e anche il porto commerciale, interessante soprattutto arrivando in città dal mare. Amo in particolar modo i carruggi del centro in quanto sono pieni di negozi – ride guardando il collega con aria colpevole – ma Genova, anche, è piena di dislivelli che creano luoghi panoramici tutti diversi fra loro e che offrono una molteplicità di punti di vista particolarmente rara». (Arata) «A me di Genova piace il mare, la costa è bellissima e noi l’abbiamo già visitata con un bus navetta. Questa città mi ricorda la mia, Yokohama. Per certi versi è simile, ha tanta costa, poca pianura e molta montagna alle spalle, mi sento un po’ a casa».
Perché avete scelto di venire proprio a Genova? (Arata) «Perché il programma di Renzo Piano unisce architettura e urbanistica assieme, cosa che in Giappone ancora non accade. L’architetto nipponico rimane generalmente astratto dalla città e dall’ambiente in cui un’opera deve inserirsi, trascurando troppi aspetti. Questa esperienza ci dà quindi una carta in più per quando torneremo nella nostra patria, dove solo ora si inizia a comprendere l’importanza di unire le due discipline». (Shoko) «Anche per me questa è un’opportunità per arricchire l’architettura di una visione più ampia».
Che cosa ne pensate dell’Urban Lab? (Arata) «Il progetto è davvero ampio e si può dividere, secondo me, in due grandi filoni: quello che racchiude l’intera città e la ripensa in modo globale e poi tutte le piccole pianificazioni delle diverse zone, che si inseriscono all’interno della visione generale ben definita. Il primo filone si può riassumere a mio avviso in 3 principali cardini attorno a cui si lavora: il mare, il verde e il traffico. Questi, non a caso, sono i tre fattori determinanti della città di Genova, dovuti alla sua conformazione geografica molto particolare. Fra i piccoli progetti c’è per esempio quello di piazza Sarzano. Da ripensare, soprattutto lo spazio pedonale. Ora la piazza è pressoché un parcheggio per automobili quando invece potrebbe essere un luogo dove vivere la socialità cittadina. A Genova, infatti, non ci sono molte piazze grandi ed è bene non perdere quest’occasione. (Shoko) «Per ridare la città agli abitanti, l’Urban Lab può fare moltissimo: rappresenta infatti un momento di riflessione. In Giappone è diverso, là tutto cambia molto, troppo, rapidamente. Si butta giù e si ricostruisce a una velocità spaventosa. C’è efficienza, è vero, ma anche un alto prezzo da pagare: non esiste il restauro, la storia è cancellata con troppa facilità e non si riflette abbastanza. Questo si traduce in un continuo spaesamento di chi abita le città, che non ha la possibilità di intervenire nei cambiamenti. La partecipazione invece è importante: la città può così cambiare seguendo e assorbendo anche i cambiamenti della società e l’Urban Lab è un momento di partecipazione».
Qual è l’aspetto da valorizzare nel ripensamento della città? (Shoko) «Come ha detto il mio collega, gli spazi aperti dovrebbero essere restituiti alla gente. Feste, eventi, teatri all’aperto, sono solo alcune proposte possibili perché le persone non debbano ridursi a vivere fra casa e automobile. Io sono di Tokyo, una città molto grande in cui però non si vive bene. La sua urbanistica è molto complessa, c’è troppa gente e l’architettura si sviluppa tutta verso l’alto. I cittadini sono isolati nei loro piccoli appartamenti dei grattacieli. Si scende in strada solo per gli spostamenti da un luogo all’altro. Genova invece offre una migliore qualità della vita, proprio in quanto le piazze sono numerose, i punti panoramici poi sono bellissimi, le costruzioni non sono troppo alte».
Per una volta la lentezza tutta italiana è elogiata. E proprio dai campioni di efficienza a livello mondiale